Mereghetti generation

Sì, è giunta l’ora di fare coming out. Uno dei miei punti di riferimento cinefilo, sfogliato e letto fino a disintegrare i sottilissimi fogli di cui era composto, è stato il Dizionario dei film di Mereghetti.

Non sono il solo, dal momento che si tratta del Dizionario di film più venduto in Italia. E sarà pure anacronistico, ora che ogni minima curiosità la si può soddisfare con un click, ma questo pezzo di carta (utile anche come strumento di difesa personale, data la voluminosità non indifferente) mi è stato di grande aiuto.

Le due edizioni che ho avuto fra le mani, quella del 1998 (con in copertina Tony Curtis e Marilyn nel capolavoro di Billy Wilder) e quella del 2000 (con la coppia Cruise-Kidman di Eyes Wide Shut), sono servite ad approfondire l’amore che nutro verso il cinema. Potrebbe apparire strano vedere associato alla parola dizionario il termine “approfondire”. Non c’è tempo (cioè, spazio) in una voce di un dizionario per discutere e disquisire su un tale film, snocciolando critiche negative o sperticate lodi. E’ tutto molto ristretto, limitato, stringato. A volte giusto una battuta, anche cattiva, atta a liquidare in fretta e furia un titolo ben poco interessante.

In questo senso il metodo utilizzato, il numero di stelline da 1 a 4 + il pallino vuoto che significava “film le cui alte aspettative si sono dimostrate totalmente disilluse”), era perfetto per liquidare o incensare alcuni film rispetto ad altri senza nemmeno a volte perdere tempo a leggere le motivazioni.

Ma il solo fatto di citare certi film, certi registi, certe cinematografie, mi ha aiutato a spalancare gli occhi verso l’altro. A non farmi abbagliare dall’ultimo blockbuster “made in Usa” e ad evitare di restare ancorati ad un cinema contemporaneo che di “nuovo” e “originale” ha ben poco.

Leggere e rileggere certe recensioni (tanto da impararle quasi a memoria) mi hanno dato il la per andare alla ricerca di alcuni film all’epoca introvabili.

La fanciulla cavaliere errante” (A touch of Zen) di King Hu, “Yakuza” di Sidney Pollack, “Duello a Berlino” di Powell & Pressburger, “Storia di fantasmi cinesi” di Ching Siu-tung, “Gli invasati” di Robert Wise, “La notte brava del soldato Jonathan” di Don Siegel, “La sparatoria” di Monte Hellman… sono solo alcuni dei film che, grazie al Mereghetti (e ai suoi collaboratori, come ad esempio Alberto Pezzotta), sono riuscito poi a recuperare-vedere-amare.

Certo, poi col passare del tempo (e con l’arrivo e l’accesso continuo ad internet) ti accorgi che forse certi commenti non erano proprio azzeccati o erano esempio di un esaltazione esagerata oppure di un odio non troppo giustificato, ti costruisci una tua cultura cinematografica che non sempre segue la direzione tracciata dal dizionario, capisci che chi scrive è prima di tutto uno spettatore con i suoi gusti e le sue preferenze.

Però non dimentichi. E sarebbe ingiusto non dare a Paolo ciò che è di Paolo (Mereghetti). Che, per inciso, è ancora vivo e vegeto e scrive sul Corriere… no perché, non vorrei che il tono di questo nostalgico post venisse ora malamente frainteso!