Ora ho capito. E’ tutta colpa di Howard Shore. Non è (soltanto) il genio di David Cronenberg, non sono le storie post-moderne e filosoficamente complicate, tanto meno le ottime interpretazioni dei singoli attori. Ciò che mi colpisce così tanto a livello emotivo quando guardo i film del regista canadese è la musica.
L’accoppiata Cronenberg-Shore inizia con la notte dei tempi, o per meglio dire con uno dei primissimi social-horror dei nostri, Brood la covata malefica (1979).
Prosegue poi con Videodrome, La Mosca, Il Pasto Nudo, Crash, eXistenZ e via discorrendo… tutti (o quasi) i film di Cronenberg portano l’inconfondibile veste sonora di Shore. E Cosmopolis, uscito recentemente nelle sale italiane, non fa eccezione.
Parlare di Cosmopolis non è facile. Si può sicuramente dire che è Cronenberg allo stato puro. Lo si nota da certe scelte stilistiche, dall’uso di ottiche grandangolari e di prospettive inusuali durante i numerosissimi dialoghi, da una certa atmosfera disturbante e pre-apocalittica che pervade l’intera narrazione.
Però l’eccessiva impronta letteraria (il film è tratto dall’omonimo romanzo di Don De Lillo) si fa sentire e, secondo me, appesantisce la visione. I continui e stranianti scambi di battute (su tematiche che variano dall’alta finanza al sesso, dal cibo al matrimonio) si susseguono senza soluzione di continuità e questo rende il tutto meno digeribile.
Meno digeribile ma non meno affascinante. Il cinema ipnotico di Cronenberg ti attira verso un mondo fatto di limousine, di città distrutte dalla crisi economica, di storie monotone che si ripetono all’infinito, di desideri estremi. Dimentichiamoci della trilogia con Viggo Mortensen.
Qui siamo tornati all’epoca di Crash e di eXistenZ… sentimenti e sensazioni forti, corpo e mente uniti in un unico sconvolgimento. Se li avete amati o perlomeno apprezzati, questo Cosmopolis vi resterà in testa per un bel po’.